Qualche anno fa uno dei pallini del mio ex socio in Cineama Antonio Badalamenti era la ricerca di un sistema per remunerare gli autori di opere audiovisive in maniera automatica ogni qualvolta il loro video -poniamo – fosse stato visualizzato, apprezzato o utilizzato in rete; inoltre proprio con Cineama abbiamo studiato a lungo come utilizzare il crowdfunding non solo come raccolta di fondi per un film ma anche come strumento efficiente e semplice di remunerazione dei donatori/investitori in base agli introiti realizzati dal film stesso.
Ora la tecnologia blockchain sembra essere la chiave per realizzare concretamente queste idee anche se la strada è ancora irta di difficoltà, sia tecniche che normative.
Cinema
Il sito coindesk.com parla dell’esperienza del team del film “Braid” che non solo vuole raccogliere almeno 1 milione e 250mila$ attraverso il crowdfunding ma sta tentando di metter su un’infrastruttura tecnologica, legale e finanziaria che serva come prototipo per un finanziamento diffuso dei film, con ritorno dell’investimento per i donatori/finanziatori basato sugli introiti generati.
La loro idea è quella di remunerare gli investitori via crowdfunding rifondendo – con valuta digitale convertibile in valuta tradizionale – la cifra investita più il 15% sui ricavi, quindi di destinare anche il 30% degli ulteriori ricavi a coloro che posseggono “quote”.
Per far questo, stanno lavorando insieme alla nascente piattaforma di crowdfunding WeiFund, che utilizza la tecnologia blockchain Ethereum, e a una squadra di avvocati ed esperti del settore finanziario.
I problemi che si trovano ad affrontare sono diversi; da un punto di vista tecnico si tratta di adattare al meglio una blockchain, facendo sì che i “token“, i gettoni che rappresentano il singolo investimento, siano strutturati per rispecchiare fedelmente i tradizionali contratti di partecipazione agli utili. Da un punto di vista normativo, occorre che tutti i tasselli del puzzle tecnologico e contrattuale si adattino alla normativa vigente negli Stati Uniti che, per quanto aggiornata, non può essere tanto veloce da adattarsi alle sperimentazioni che stanno avvenendo; ad esempio per legge le piattaforme di crowdfunding devono essere legate a un intermediatore registrato ma le blockchain hanno proprio la caratteristica di eliminare l’intermediazione! Per non perdere troppo tempo hanno deciso che in un primo momento questo tipo di crowdfunding evoluto sarà disponibile ai soli donatori/investitori residenti al di fuori degli USA.
Musica
Un altro settore in cui la tecnologia blockchain (o DLT, Distributed Ledger Technology) sta suscitando fermento è quello musicale.
In un interessante report pubblicato dalla Middlesex University (UK), “Music On The Blockchain“, vengono presi in esame vantaggi e criticità nell’uso di questa tecnologia nell’industria musicale.
Possiamo sintetizzare i 5 punti di forza potenziali in
- Creazione di un database distribuito per le informazioni di copyright musicale (tentativi precedenti con altri sistemi sono falliti)
- Velocizzazione e semplificazione del pagamento delle royalties
- Trasparenza in tutta la filiera creativa, produttiva, distributiva e promozionale
- Accesso a fonti alternative di finanziamento (es. crowdfunding “evoluto” come descritto in precedenza)
- Più potere agli artisti, meno alle case discografiche
Inoltre consideriamo la possibilità data dalle blockchain di effettuare micropagamenti (si parla di centesimi se non millesimi di valuta digitale) con costi di transazione tendenti a zero: nell’era della musica in streaming questo può essere un’alternativa agli abbonamenti a servizi come Spotify. Ma vi sono altre possibilità, dal pagamento immediato per un “sample” utilizzato in un altro brano a una canzone o frammento di essa inserita in un video online.
Le difficoltà comunque non sono poche e non si parla solo di problemi tecnologici, legati per esempio alla scelta dell’infrastruttura (Bitcoin, Ethereum o altre). Basti pensare alla complessità dei copyright di una canzone, legati al cantante, agli autori di musica e testi, alla casa discografica e via dicendo.
Alcune sperimentazioni sono già in atto: la Dot Blockchain Music initiative e Mycelia stanno cercando di coniugare smart contracts e metadata per embeddare nei brani non solo informazioni precise su proprietari, beneficiari, detentori di copyright ma anche notizie addizionali come strumenti utilizzati, studio di registrazione, marca di caffè bevuta durante le sessions… (notare l’importanza per le sponsorship).
In quanto al crowdfunding gli autori del report sottolineano come
la tecnologia blockchain possa avere un significativo effetto in questo settore, con gli artisti che emettono proprie azioni o “gettoni” e smart contracts che garantiscano ai sostenitori/finanziatori che i contributi versati siano restituiti qualora non vengano raggiunti gli obiettivi di finanziamento.
Arte
Per completare questa brevissima panoramica sulle sperimentazioni in atto nelle industrie creative voglio citare il progetto Monegraph, raccontato in dettaglio in questo scritto di Martin Zeilinger della Anglia Ruskin University (che contiene anche una disamina e una critica del concetto di proprietà intellettuale).
Nato dall’idea di un artista e professore della New York University, Kevin McCoy, Monegraph consente agli autori di opere digitali di contrassegnare tali artefatti con una marcatura, legata a uno smart contract di un sistema a blockchain.
L’attribuzione certa delle opere digitali, per loro natura facilmente duplicabili e riproducibili all’infinito, è un problema serio, che ne limita valore e possibilità di vendita.
Monegraph consente di scegliere tra diverse licenze, che vengono poi integrate nell’opera stessa come frammento di codice: questa operazione permette all’artista di inserire la sua opera nel database distribuito e immutabile della blockchain (chiamato anche Monegraph Public Catalogue), favorendone la tracciabilità e la vendita.
Questo modello, afferma Zeilinger, è un ibrido tra l’esplorazione di nuove forme di progetti artistici, teoria estetica e prodotto commerciale. In particolare
offre un nuovo approccio al problema della non scarsità insito nelle opere digitali. Piuttosto che controllare la circolazione degli artefatti digitali cercando di renderli impossibili da copiare, Monegraph permette di verificare l’autenticità di una determinata copia dell’opera, rendendola “possedibile” e quindi potenzialmente preziosa.
Ora, teoricamente il progetto appare interessante ma facendo un giro per il sito (attivo da un paio d’anni) si notano alcune difficoltà: non vi è una ricerca per categorie o per licenze e diversi aspetti non sono chiari. Per esempio, le opere “non in vendita” possono solo essere visualizzate nel sito senza altro utilizzo? Non vi sono inoltre opere “licenziate” in stile Creative Commons, con il solo obbligo di citare l’autore; eppure sarebbe utile sperimentare l’approccio Monograph con le CC.
Per finire questa brevissima rassegna sull’utilizzo della tecnologia blockchain nelle industrie creative segnalo un recente post di Don Tapscott (l’autore di Wikinomics) su questi argomenti.