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L’Era dell’Accelerazione. Tecnologia Mercato e Natura in velocissimo cambiamento: come le società e gli individui possono adattarsi?

Siamo nell’Era dell’Accelerazione. Il mondo cambia velocemente e, come afferma lo scrittore e imprenditore Dov Seidman,

sta cambiando completamente forma: sta cominciando a funzionare in modo diverso.

E questo in molti campi simultaneamente.

E’ un grande reportage quello che Thomas L. Friedman, editorialista del New York Times, propone nel suo ultimo libro “ Grazie per essere arrivato tardi. Un ottimista nell’epoca delle accelerazioni(Mondadori, 2017), teso a raccontare e analizzare questo cambiamento ultra-veloce dovuto alla tecnologia digitale, alla globalizzazione dei mercati e alla contemporanea necessità di adattarsi ai mutamenti climatici, anch’essi rapidi come mai in passato.

Capire quel che sta succedendo è fondamentale. Come abbiamo visto con le elezioni americane e con la Brexit, i cambiamenti possono spaventare. E’ necessario “costruire un pavimento sotto i piedi delle persone”, altrimenti il disorientamento, le paure, le ansie tenderanno a prendere il sopravvento sulle opportunità e i vantaggi che tali cambiamenti possono portare.

La tecnologia è diventata un’astronave che, quasi letteralmente, viaggia alla velocità della luce;

la connettività è diventata rapida, gratuita, semplice da usare e onnipresente e la gestione della complessità rapida, gratuita, semplice da usare e invisibile.

Friedman chiama “supernova” questa infrastruttura onnipresente, quasi intangibile e percorsa da miliardi di bit in grado moltiplicare, amplificare il potere delle macchine, dei singoli e dei molti contemporaneamente. La transizione di stato in atto è una conseguenza della legge di Moore, quella che aveva predetto la crescita esponenziale della potenza di calcolo dei processori e che poi si è riverberata in tantissimi campi dell’elettronica e dell’informatica, dalle memorie alle velocità di trasmissione dell’informazione alla capacità di analisi dei dati (big data).

Da un lato facciamo fatica singolarmente ad adattarci a questi mutamenti (che assomigliano a metamorfosi). Larga parte della popolazione, anche nei paesi più avanzati, era abituata a entrare nel mercato del lavoro a vent’anni non pensando di dover continuare a formarsi per tutta la vita. Ma questo è cambiato. Dobbiamo continuare a studiare, a imparare nuove competenze, a tenerci aggiornati durante tutto l’arco della nostra vita per seguire il passo: bisogna costantemente essere la “startup di noi stessi”, secondo la definizione del fondatore di LinkedIn Reid Hoffman.

D’altra parte, collettivamente, riusciamo a metabolizzare i cambiamenti molto più rapidamente. Un secolo per sfruttare pienamente le invenzioni e le scoperte della prima rivoluzione industriale – come la macchina a vapore, qualche decina d’anni per far diventare l’elettricità il sistema nervoso delle nostre infrastrutture, una ventina d’anni per integrare nelle nostre vite internet, il web, i telefonini. Meno di dieci per “embeddare” nella nostra quotidianità i social media.

La trasformazione è epocale e differente dalle precedenti “rivoluzioni”; un esempio è quello delle scorte, fino a ieri indicatrici principali di ricchezza e di crescita e oggi via via soppiantate da parametri come i flussi (di dati, di informazioni, di conoscenze, di persone) che indicano il vantaggio di una società su un’altra. Proprio per questo le società più aperte al flusso di scambi, informazioni, finanza, cultura e istruzione, più propense a imparare dai flussi e a contribuirvi, sono quelle che più probabilmente prospereranno.

Friedman sostiene con forza che per stare al passo una società deve anche far sì che il proprio

sistema educativo sia dotato di strumenti nuovi per massimizzare le seguenti abilità e qualità: solide basi di scrittura, lettura, codifica e matematica; creatività, pensiero critico, comunicazione e collaborazione oltre che grinta, motivazione personale e disponibilità ad apprendere per tutta la vita; infine, intraprendenza e improvvisazione, a ogni livello.

Quel che maggiormente colpisce del libro – oltre alla scrittura meravigliosamente chiara e coinvolgente, così “anglosassone”- è la quantità e la qualità delle interviste spesso fatte visitando i luoghi dove si crea il futuro, dalla sede di Google X, General Electric, Qualcomm, IBM solo per citarne alcuni.

La parte meno interessante del libro, almeno in questo contesto, è l’ultima, quella in cui Friedman parla della sua infanzia di ragazzo ebreo in Minnesota, dei problemi legati all’integrazione e della politica dei diritti civili. Sembra quasi un libro a se stante (e forse nelle intenzioni dell’autore avrebbe dovuto esserlo).

Comunque questo saggio rimane un’ottima guida per comprendere le dinamiche accelerate in cui siamo immersi; è scritto da un ottimista che non nasconde le preoccupazioni per gli esiti a cui i cambiamenti possono portare — populismi, autoritarismi, perdita di ogni privacy- ma che propende per la speranza di un futuro non distopico, finita quest’epoca di transizione. Del resto, come ricorda

il periodo più pericoloso sulle strade di New York fu quello in cui cominciarono a circolare le prime automobili ma cavalli e carrozze non erano ancora stati soppiantati.

Originariamente pubblicato su Medium.