L’aumento esponenziale – a livello globale e in Italia – delle piattaforme di crowdfunding e della raccolta in termini monetari (più di 5 miliardi di dollari stimati per il 2013 in tutto il mondo) impone analisi e studi approfonditi sulle dinamiche e sulle motivazioni di adozione/partecipazione a questi nuove forme di finanziamento.
Su First Monday (una rivista peer reviewed sul mondo Internet) è stato appena pubblicato – da Patryk Galuszka e Victor Bystrov, due ricercatori dell’Università di Lodz – uno studio incentrato sui progetti a tema musicale di una piattaforma polacca di crowdfunding, megatotal.pl.
La ricerca è tesa a comprendere le motivazioni che spingono gli individui a contribuire ai progetti.
La figura del “fan” di musica soprattutto pop-rock è stata vista in anni passati sotto un’accezione negativa – una persona o un gruppi di persone isteriche e ossessionate dai propri idoli – e passiva. A partire degli anni ’70 c’è stata una rivalutazione del “fan”: un soggetto attivo, creativo, in grado di produrre nuove forme di contenuti (per esempio i remix). L’evoluzione del web e delle tecnologie della comunicazione (oltre che l’abbassamento dei costi di tali tecnologie) ha ulteriormente ampliato il bacino, le possibilità e gli obbiettivi della fan culture.
Le comunità di appassionati (fandom) di artisti e gruppi musicali hanno trovato nella Rete e nei social media strumenti non solo utili per condividere e scambiarsi opinioni e contenuti ma anche per supportare in maniera diretta o indiretta i loro beniamini. Non solo sostegni finanziari – tramite crowdfunding o altre forme di finanziamento – ma anche tramite la promozione volontaria di canzoni, video, concerti, l’organizzazione di eventi dedicati on e offline, la creazione di contenuti collegati all'”universo” dell’artista. E questo avviene indifferentemente – ma spesso con ovvie differenze di metodi e obbiettivi – sia per le star dell’industria musicale che per musicisti e gruppi indipendenti o esordienti.
Come si è detto la ricerca si basa sulla piattaforma polacca megatotal.pl. Attiva fin dal 2007, incentrata per lo più sui progetti musicali, ha raccolto circa 220.000 dollari, fatto realizzare 105 album, 2 video, i concerto e un libro. Ha un modello simil equity-based in cui gli utenti finanziatori possono:
- ricevere una parte dei fondi da coloro che hanno investito nel progetto più tardi
- ricevere una parte dei profitti derivanti dalle vendite (dell’album per esempio)
- poter scaricare le tracce (che altrimenti possono essere ascoltate in streaming)
Un meccanismo quindi un po’ diverso dalle normali piattaforme di crowdfunding, che permette di effettuare strategie di investimento non banali.
Oltre ad interviste con gli amministratori della piattaforma, attraverso un questionario si sono raccolte le risposte di circa 800 utenti (su più di 21.000) che possono essere ragionevolmente identificati con il “core” di utenti più attivi. In effetti questo nucleo è quello che proporzionalmente investe di più e con continuità sulla piattaforma, mentre il restante 95% circa di utenti investe poco e poche volte (o nessuna volta, limitandosi a visitare i siti, commentare, ascoltare la musica).
I risultati forniscono, in prima approssimazione, come motivazione principale quella di supportare l’artista e come ultima quella di guadagnare dall’investimento (ma anche in questo caso egualmente importante è il supporto).
Il fatto di poter finanziare un artista “ex ante” è una possibilità recente, proprio grazie al crowdfunding: prima lo si poteva fare solo “ex post“, comprando il disco (cd) o andando ai concerti. Il fatto di finanziare progetti non tanto per guadagnarci ma perché si crede in quel progetto, nella persona o nelle persone che lo presentano è un elemento che fin da subito è emerso nei processi di crowdfunding (almeno fin quando non si parla di reale equity crowdfunding (con partecipazione azionaria) con grandi somme investite).
Infatti altri dati della ricerca mostrano come gli utenti rinunciano spesso alla “riscossione” del guadagno – comunque non grosse cifre – e lo reinvestono in altri progetti. Inoltre diventano “ambasciatori” del progetto stesso promuovendolo on e offline.
Le conclusioni della ricerca vertono su tre punti:
- le piattaforme di crowdfunding – se adeguatamente fornite di strumenti di interazione come commenti, bacheche, forum – diventano communities (nuove forme di fandom) alimentate da un nocciolo duro di utenti attivi, interessati a quella nicchia tematica (se la piattaforma è “verticale”) più che al guadagno personale o al sostegno di un unico artista “one-time“. Del resto tra coloro che entrano nella piattaforma solo per sostenere un loro amico o conoscente ve n’è qualcuno che si appassiona e continua a frequentarla anche dopo la conclusione – positiva o negativa – del progetto sostenuto in origine.
- Gli investitori più attivi e interessati sono generalmente mossi dalla propria passione e assai meno dal desiderio di guadagno. Questi “fanvestors” possono essere visti come piccole etichette indipendenti individuali (a basso rischio), interessati a promuovere artisti e progetti in cui credono e la musica (in questo caso) che piace loro. In pratica, dicono gli autori utilizzando un’espressione di Baym e Burnett, sono interessati a “dare contributi significativi a un dominio culturale”. Ma anche, attraverso un processo di “intelligenza collettiva”, potrebbero essere in grado in un prossimo futuro di scovare talenti in modo più efficiente rispetto all’industria discografica, fenomeno già emerso in alcuni casi con gli artisti diventati famosi grazie a YouTube.
- Il crowdfunding, quando si parla di prodotti culturali come musica e film (e aggiungo io di progetti legati al sociale e forse anche all’innovazione e al design) non può essere considerato alla stregua di un “freddo” strumento finanziario, vedi business angels. La componente che prevale è quella del forte interesse personale verso certe tematiche unita a legami emozionali, addirittura empatici, con chi propone il progetto.