Da diversi anni, il sogno ricorrente del cinema, soprattutto indie, è quello di sfruttare il web, i social media e altri strumenti della Rete per coinvolgere una community di utenti e potenziali spettatori attorno a un progetto cinematografico fin dalla fase creativa iniziale.
So che è un esercizio nostalgico ancorché sterile quello di ricordare la mia vecchia startup (si parla ormai di 12 anni fa) ma ogni tanto mi ritrovo a compierlo, se non altro per rivendicare almeno una certa capacità visionaria. Uno degli obbiettivi di Cineama era quello di creare, attraverso la nostra piattaforma, una community che valutasse soggetti e sceneggiature (magari in licenza Creative Commons), scegliesse i migliori, li finanziasse in tutto o in parte attraverso il crowdfunding, ne seguisse la fase produttiva e pubblicizzasse attraverso i nascenti social l’opera finita, magari auto-organizzando proiezioni on demand (avevamo sviluppato un’app Facebook).
Perché ne parlo ancora?
Perché prima le blockchain e poi i loro “sottoprodotti”, gli NFT, hanno rilanciato il sogno di prodotti audiovisivi (non solo film) creati e sostenuti da community, da utenti che selezionano, finanziano e promuovano il progetto.
Ormai quasi quattro anni fa avevo scritto della prima ondata di progetti e piattaforme nell’industria audiovisiva basata su blockchain. Alcuni sono scomparsi, altri cambiato obbiettivi, pochi — come FilmChain — sono ancora operativi.
Ora una nouvelle vague di piattaforme si lancia sul mercato, sempre con l’esplicito intento di rendere più coinvolgente (e trasparente) la filiera produttiva di un’opera audiovisiva.
Prendiamo ad esempio Mogul. Fondata da un team di grossi produttori di Hollywood sembra esser ben lontana dal cinema indipendente ma il suo boss, Gagan Grewal, ne rivendica la natura innovativa. Il funzionamento è relativamente semplice: gli utenti in possesso di STAR, la criptovaluta Mogul, potranno scegliere e votare, da un catalogo di sceneggiature, quelle che si vorrebbero veder finanziate. In cambio questi utenti saranno “premiati” con altre STAR. Il 50% dei profitti del film prodotto saranno divisi tra i possessori di STAR. La piattaforma ospita anche un marketplace di NFT tematici.
La DeFiFi (“Decentralized Film Financing”) affascina anche le dinastie cinematografiche. Insieme a Mike Musante, vicepresidente della American Zoetrope, la famiglia Coppola ha creato Decentralized Pictures, una non profit per il “Democratic Film Financing and Production Support”. Il meccanismo di base della piattaforma, basata su Tezos, è molto simile a quello di Mogul: la community valuta progetti ricavandone FILMCredits, i token nativi di DCP. Va da sé che anche qui è presente un marketplace NFT.
Altra variazione sul tema è FF3, piattaforma basata su Polygon (sidechain Ethereum) che si definisce “A tokenised community-driven funding platform for films” (la fantasia nell’autodefinirsi è una costante dei progetti cripto). In pratica ogni progetto cinematografico ha un suo token specifico. Gli utenti che acquistano questi token diventano finanziatori, ricevono benefit vari (come l’accesso prioritario al contenuto finito e a NFT a esso legati) e possono scambiarli in un mercato secondario. Secondo i fondatori “ai titolari di token verrà assegnata anche la proprietà dei diritti di proprietà intellettuale sottostanti il progetto, con i ricavi divisi tra registi e mecenati.” Un sistema che consenta una condivisione trasparente, equa, efficiente e automatica dei guadagni è il sacro graal nel sogno di un’industria audiovisiva alternativa e decentralizzata (lo era anche per noi di Cineama) ma vi sono grandi ostacoli di natura legale e regolamentativa. Per citarne solo uno: si va diffondendo, tra gli organi regolatori, la tendenza a considerare token e NFT frazionabili alla stregua di azioni (securities), con molti vincoli e obblighi associati.
Continuiamo a citare progetti. Niels Juul, produttore tra gli altri di Martin Scorsese, è uno dei fondatori di NFTstudios ovvero “Web3 goes to Hollywood”. Si definisce una DAO (Decentralized Autonomous Organization) ma lo scarno sito-vetrina (non dissimile dagli altri, per la verità) e i canali Twitter, Discord e Medium indicati ma non esistenti non lasciano sperare in qualcosa di serio.
In Francia, la casa di produzione La DCF, sponsorizzata da Claude Lelouch, ha scelto di “tokenizzare” un intero catalogo di film per condividerne gli introiti (con i rischi legali prima citati).
Si potrebbero continuare a citare piattaforme, ma lo schema di fondo non cambia.
L’intreccio tra NFT e Hollywood passa anche attraverso altre due modalità: attori, registi e produttori più o meno famosi finanziano almeno parte dei loro progetti attraverso la vendita di NFT (e siamo sostanzialmente dalle parti del crowdfunding, come per il film indie Calladita) o partono da una collezione di NFT come base per realizzare un film o una serie.
L’ormai famoso “Zero Contact”, film con Anthony Hopkins girato durante il lockdown, non solo ha raccolto 100.000 dollari attraverso la vendita di 11 NFT ma 2.500 copie esclusive sono state vendute come NFT sulla piattaforma Vuele.
Stoner Cats, prodotto tra gli altri da Mila Kunis, è una serie animata finanziata interamente dalla vendita di NTF che rappresentano i gatti protagonisti: questo dà la possibilità agli utenti di vedere il primo episodio e finanziare i successivi. I doppiatori (tra i quali Jane Fonda, Chris Rock (ops…) e Vitalik Buternin, co-creatore di Ethereum, presente in un cameo) e gli altri professionisti impegnati nella realizzazione saranno pagati in ether. Mila Kunis ci ha preso gusto, visto che sta per lanciare un’altra serie animata NFT based, The Gimmicks.
The Glue Factory, un’altra serie animata, ha raccolto tre milioni di dollari vendendo 10.000 NFT. I proprietari dei token hanno anche potuto partecipare alla fase creativa incontrandosi su un server Discord. Il progetto è considerato un “proof of concept” di una comunità integrata e di un modello iterativo: la prima serie è un’istanza che può essere seguita da altre, magari su canali e piattaforme mainstream. I primi possessori di token potrebbero quindi essere ricompensati con “qualcosa di più tangibile del diritto di vantarsi”.
Un approccio simile è quello della AMM Global, una società di produzione da Asia Television di Hong Kong e Phoenix Waters Productions: “Crypto Keepers” viene presentata come la prima serie drammatica NFT in Asia. La community di possessori potrà, tra le altre cose, intervenire sulla storyline della seconda stagione.
Arabian Camels è una community che sta cercando di realizzare un film hollywoodiano, “Antara”, raccogliendo 50 milioni di dollari tramite NFT. I ricavi dovrebbero essere distribuiti tra i possessori.
Se Quentin Tarantino cerca di spremere ancora il suo Pulp Fiction creando NFT a esso collegati (finendo per essere citato in tribunale dalla casa di produzione Miramax) l’aspirante filmmaker Julie Pacino (sì, la figlia di Al Pacino) cerca di finanziare la sua opera prima vendendo suoi NFT su Opensea.
Più originale Reese Whiterspoon che capovolge la prospettiva, prendendo una collezione di NTF come ispirazione per produrre film e serie tv: Hello Sunshine è una serie di 10.000 NFT realizzati dal collettivo femminile World of Women e andati subito esauriti la scorsa estate.
Già lo scorso anno altre collezioni sono entrate nel mirino di Hollywood. Aku, il ragazzino di colore che sogna di diventare astronauta, opera dell’artista Micah Johnson sarà il protagonista di un film e/o di una serie, così come, probabilmente, gli iperfamosi CryptoPunks e Bored Ape Yacht Club. Huxley, una serie di fumetti di Ethereum NFT dell’artista Ben Mauro, sarà trasformata in un lungometraggio prodotto da Ari Arad (Marvel).
Gli NFT sono più prosaicamente sfruttati dalle grandi case di produzione come mezzo per monetizzare la proprietà intellettuale dei film passati, presenti e futuri nonché fidelizzare gli spettatori: un merchandising di vecchio stampo riciclato, un NFT-washing. Warner Bros. con la saga di Matrix, Liongate con il franchise Saw, Disney con i “Golden Moments” della sua sterminata produzione, ViacomCBS con i personaggi delle mille serie passate sui suoi canali sono solo degli esempi di questa corsa all’oro (al token) di archivio.
Le piattaforme di streaming o i canali satellitari come Sky, ancor più banalmente, gli usano come gadget per lanciare nuove serie, come nel caso della seconda stagione di ”Diavoli”.
Riusciranno blockchain e NFT a decentralizzare il mercato cinematografico e dell’audiovisivo, rendendolo più trasparente e più equo nella ripartizione dei diritti e più coinvolgente per gli utenti futuri spettatori? Dopo ormai cinque o sei anni di sperimentazioni, progetti e startup non vi sono all’orizzonte cripto-Netflix o società di produzione DAO, cioè modelli vincenti diventati fenomeni di massa. L’e-commerce ha incominciato a diventare mainstream dopo circa dieci anni dagli esordi (metà anni ’90), la musica legale in streaming ha avuto successo con Apple e poi Spotify circa nello stesso periodo di tempo, Paypal per il web prima e i servizi di pagamento via app successivamente hanno avuto un periodo di incubazione fatto di esperimenti falliti più o meno di 10/12 anni.
Inoltre c’è da considerare che nessuno dei vincitori nella gara dell’innovazione è scaturito dalle grandi aziende padrone del mercato nell’era precedente: PayPal non è nata da un progetto delle società di carte di credito, Spotify non è una costola di una casa discografica e via dicendo. Ci sono voluti outsiders visionari ma dotati di spirito pratico, tenacia e molti investimenti di supporto per scardinare l’esistente. Forse anche per blockchain e NFT i progetti vista Hollywood non si tramuteranno in unicorni.
Comunque… aggiorniamoci al 2025 (o giù di lì).
Altre fonti e riferimenti
Stephen Greves, How DAOs, NFTs and DeFi are Disrupting Hollywood, Decrypt
Nicolas Madelaine, Cinéma, séries : les NFT défrichent un nouveau mode de financement, Les Echos
Todd Spangler, Hollywood’s NFT Gold Rush: Behind the Hope and Hype, Variety
Chris Lindahl, If Snoop Dogg, Reese Witherspoon, and McDonald’s Can Do NFTs, So Will You, Indie Wire