Con la nascita dei bitcoin avvenuta dieci anni fa è stata creata non solo la prima valuta digitale affidabile ma anche un’architettura finalizzata alla codifica automatica della fiducia.
Se infatti internet e il web sono catalizzatori dell’informazione e della comunicazione, le tecnologie blockchain/DLT sono catalizzatori della fiducia.
Sono sistemi che permettono di fidarsi del loro output senza necessariamente fidarsi di nessuno dei loro singoli componenti.
Questo è il vero segreto delle blockchain e la ragione del grande interesse che stanno suscitando in tanti settori.
La fiducia funziona da capitale sociale e permette alle norme — sociali, politiche, giuridiche — di esistere e di funzionare.
In campo economico possiamo capire quanto sia importante: la sua assenza fa aumentare i costi di ogni transazione per la necessità di acquisire informazioni e di effettuare monitoraggi.
Nel suo libro “The Blockchain and the New Architecture of Trust” (The MIT press, 2018) Kevin Werbach, esperto di innovazione e diritto, è interessato, più che agli aspetti tecnologici, al percorso di maturazione e di adozione di queste tecnologie visto sotto il punto di vista giuridico, regolamentativo e legislativo.
L’autore crede nelle potenzialità delle blockchain, sia pubbliche che private. Caratteristiche come la decentralizzazione, una visione condivisa sullo “stato del mondo” (consenso), lo scambio diretto di valore e l’utilizzo di contratti computabili definiscono, nel loro insieme, una tecnologia “general purpose” ricca di prospettive.
Nello stesso tempo, però, non può non sottolineare diversi problemi che devono essere affrontati senza reticenze.
Prendiamo la fiducia: essa può essere persa in maniera diretta, a causa di comportamenti opportunistici o per il collasso del sistema. Tutte queste condizioni posso ritrovarsi in una blockchain. Anche ammesso che la parte informatica sia impeccabile (cosa praticamente impossibile) esiste il fattore umano. Il fallimento della famigerata DAO, l’implosione delle ICO tanto rapida quanto il loro iniziale successo e altri esempi testimoniano come il contatto con la realtà contamini, con la “macchia umana”, l’immacolato apparato teorico dei tecno-utopisti libertari.
Quello di cui le blockchain (soprattutto pubbliche) necessitano per diventare mainstream è una meta-fiducia promossa da una robusta e chiara governance; questa deve avere processi che riescano a bilanciare gli interessi degli sviluppatori, dei miners, degli utenti e procedure per reagire alle crisi e gestire i cambiamenti senza, possibilmente, abusare di fork traumatici.
Può esser vero secondo Werbach, che “il codice è la legge” ma non è l’unica:
gli sviluppatori dovrebbero studiare la legge per identificare dove il “codice a secco” (dry code) dei contratti intelligenti può corrispondere alle funzioni del “codice bagnato” (wet code) della pratica legale.
Tenendo comunque presente che le formalizzazioni ex ante non potranno mai eguagliare la flessibilità del processo decisionale ex post.
Inoltre la validità della blockchain non è rilevante solo per le questioni di diritto privato, come l’esecuzione dei contratti, ma anche per questioni di diritto pubblico, come le industrie regolamentate (principalmente i servizi sanitari e finanziari), i servizi governativi e le registrazioni gestite dal governo.
Un altro rischio che si corre, paradossalmente, è quello della centralizzazione. Anche internet era nata come un sistema libero e decentralizzato ma abbiamo visto come la spinta centripeta abbia portato, negli anni, a creare unicorni, monopoli e walled gardens.
La regolamentazione è necessaria anche per evitare questa tendenza, pur con le difficoltà che una tecnologia in rapida trasformazione pone ai legislatori: regolamentare troppo presto può tarpare le ali alle sperimentazioni, troppo tardi può permettere ai più forti di annientare la concorrenza.
È stata una lettura stimolante, con molte storie, citazioni e dati a supportare una visione pragmatica e per questo interessante.
Werbach è fiducioso che le tecnologie blockchain si possano affermare in diversi settori ma tale riuscita dipenderà
in parte dai progressi tecnici, in parte dai modelli di adozione, in parte dalle innovazioni di business basate sulle piattaforme DLT e in parte dalla risoluzione delle sfide legali e di governance dell’architettura di fiducia della blockchain.
Per concludere voglio citare un esempio concreto tratto dal libro che dà l’idea di come le tecnologie DLT possano, se usate in maniera appropriata, rendere davvero più efficienti i processi industriali come quelli della supply chain.
Per testare il sistema blockchain di Walmart si è voluto prima individuare quale azienda agricola avesse prodotto un pacchetto di manghi venduti in uno dei negozi utilizzando meccanismi convenzionali della catena di approvvigionamento. Ci è voluta una settimana. Con il sistema basato su blockchain, si è stati in grado di ottenere la risposta in poco più di due secondi. Non male.