Blockchain

blockchain chronicles #5- Indiegogo accetta ICO e sguardi critici alle blockchain

Ho iniziato a occuparmi di blockchain documentandomi sulle evoluzioni possibili del crowdfunding, un settore che conosco dai suoi albori (2009).

Leggo ora sul New York Times che Indiegogo, una delle due più grandi piattaforme di crowdfunding, apre alle campagne di ICO (Initial Coin Offerings).

Ricordiamo, un ICO è un’autofinanziamento che le startup avviano vendendo gettoni (tokens) di una propria cryptovaluta agli investitori, in genere senza che questi diventino azionisti della società. La valuta personalizzata potrà essere spesa, inizialmente, solo all’interno dell’ecosistema digitale creato da quella startup, per acquistare servizi o beni digitali. Ma si scommette anche che sul fatto che il progetto riesca, acquisti valore e che questo valore “embeddato” nei tokens possa essere convertito in valute ufficiali in un mercato aperto.

Il meccanismo delle ICO è soggetto a diverse critiche; in Cina è vietato, negli USA regolamentato — in parte — attraverso il Jobs Act del 2012 che si è occupato del crowdfunding.

Il management di Indiegogo vuole comunque testare questo modello anche perché vi è stata una vera e propria esplosione, come testimonia questa infografica.

La prima campagna sarà quella di una lega di football gestita dai fans. I token acquistati e inizialmente “depositati” sulla blockchain Ethereum, serviranno ai supporter come certificato per poter votare su tutti gli aspetti di gestione della lega e delle squadre.

Fonte: newyorktimes.com


Preethi Kasireddy è una giovane, brillante ingegnere americana con una storia personale davvero istruttiva che lei stessa ha raccontato in un bellissimo post scritto su Medium.

Ora si sta occupando di blockchain e in un altro post, di una competenza e chiarezza esemplari, ha analizzato problemi, limitazioni tecniche e possibili soluzioni delle blockchain pubbliche.

I punti chiave sono:

  • Limitata scalabilità
  • Privacy limitata
  • Mancanza di una validazione formale dei contratti
  • Vincoli di storage
  • Meccanismo di consenso insostenibile
  • Mancanza di governance e standard
  • Strumenti inadeguati
  • La minaccia del quantum computing

Le sue conclusioni, dopo questa attenta disamina sono che:

sfortunatamente, molti sono incentivati, per ragioni economiche, a ignorare questi problemi, inclusi alcuni degli sviluppatori e leader più influenti del settore.

Ma, indipendentemente dal fatto che l’attuale andamento degli investimenti si riveli o meno una bolla, sono fermamente convinta che la blockchain sia qui per rimanere.Come sviluppatori abbiamo solo bisogno di darci da fare per abbattere le barriere che le impediscono di diventare una tecnologia mainstream. E abbiamo bisogno degli investitori per finanziare questi sforzi. (traduzione mia)


Adam Greenfield è un urbanista, designer e scrittore. E’ un profondo conoscitore delle tecnologie ma allo stesso tempo mantiene un atteggiamento critico su di esse, esplorandone i lati oscuri.

Sto leggendo il suo ultimo libro, “Tecnologie radicali. Il progetto della vita quotidiana.” (Einaudi, 2017) in cui analizza con lucidità strumenti, infrastrutture e organizzazioni digitali e su come esse stiano trasformando la società.

Si focalizza soprattutto sulle possibili distopie che, se non ben comprese e utilizzate, queste tecnologie possono creare.

Dedica due capitoli ai bitcoin prima e alle blockchain poi.

Le grandi perplessità di Greenfield nascono innanzitutto dall’alone di mistero che ha circondato la nascita dei Bitcoin ed è proseguita con la figura più visibile ma altrettanto cryptica di Vitalik Buterin, fondatore di Ethereum; la sensazione è che questa tecnologia sia stata creata da anarco-capitalisti e libertari di destra che sognano una (non) società atomizzata in singoli individui, interamente regolata da leggi di domanda-offerta gestite in maniera asettica e automatica.

Gli irriducibili intravedevano nello smart contract la possibilità di fondare un’economia transumana nella quale persone, macchine, organizzazioni e altre entità potessero concludere accordi altrettanto vincolanti quanto quelli fatti a partire dal corpus legislativo di uno stato, o anche di piú.

Curiosamete, rivela, l’autore anche la sinistra populista, probabilmente per superficialità, acclama le blockchain: per loro garantirebbe la possibilità di un autogoverno efficace, non gerarchico e distribuito oppure -e forse qui potrebbero aver ragione, per

creare una cooperativa nella forma del Dao (ndt: Decentralized Autonomous Organization) senza fare troppa violenza concettuale ai principî sui quali è fondata.

Le obiezioni e le preoccupazioni di Greenfield non sono infondate; ho visto nascere i personal computer, il web, la telefonia mobile, il web 2.0, i social, l’IoT e se c’è una cosa che ho compreso è che occorre valutare le tecnologie con mente aperta e spirito critico, rinunciando ai facili e superficiali entusiasmi degli adepti e alle condanne pavloviane altrettanto superficiali.

Originariamente pubblicato su Medium