Pubblicato originariamente su Medium.
La tecnologia blockchain alla base delle valute digitali come Bitcoin e Ethereum è ritenuta estremamente promettente come testimoniano i massicci investimenti su di essa fatti da grandi aziende, organizzazioni e startup di molti, diversi settori.
C’è un aspetto che, parlando di qualcosa di “virtuale”, non viene subito colto ovvero la quantità di energia che viene utilizzata da questa tecnologia.
In un’interessante pagina del sito digiconomist.net vengono presentati due indici, il Bitcoin Energy Consumption Index e l’Ethereum Energy Consumption Index sulla base dei quali vengono elaborate alcune statistiche.
Gli indici calcolano, con determinate assunzioni, il consumo quotidiano di energia elettrica che è stato necessario per elaborare l’algoritmo chiave alla base delle due monete virtuali, la proof of work.
Estrapolo alcuni numeri (in costante aggiornamento).
Sono cifre sorprendenti.
Per comprendere perché questa tecnologia consuma così tanto occorre una spiegazione.
Il dispendio energetico è causato proprio da una delle caratteristiche principali delle blockchain, quella di essere una sorta di database distribuito auto-validante. I miners — coloro che creano i blocchi delle transazioni — sono ormai migliaia e impiegano intere farm di server specializzati (sopratutto per i bitcoin) per effettuare la fondamentale operazione di proof of work citata in precedenza. Risolvere questa “prova” significa creare un blocco e guadagnare molte migliaia di dollari in criptovaluta.
Computazionalmente parlando questa operazione è estremamente onerosa, fatta di tentativi ed errori. Tantissimi tentativi. Al momento le probabilità di “risolvere” un blocco bitcoin equivalgono a quelle di trovare uno oklahoma hookup specifico granello di sabbia tra tutte i granelli del mondo, deserti compresi (10¹⁹). Le macchine impiegate operano quindi ad altissime velocità, nell’ordine di miliardi di tentativi al secondo.
Si hanno quindi moltissimi server spremuti a fondo che richiedono molta energia.
Una delle ragioni per le quali almeno la metà dei miners bitcoin (ormai aziende, non singoli individui) risiede in Cina è proprio la disponibilità di energia elettrica in alcune sue provincie, dovuta ai massicci investimenti nel settore energetico.
Il confronto con altre forme di pagamento può apparire impietoso; gli 82 miliardi di transazioni effettuate tramite carta di credito Visa in un anno hanno un costo energetico, dovuto alla loro elaborazione, pari al consumo di 50.000 case americane: le transazioni Bitcoin nello stesso periodo consumano quasi quanto 2 milioni di abitazioni!
Esiste chiaramente un problema di sostenibilità ambientale ed economica anche se alcuni rispondo alle critiche sostenendo che i confronti con altre forme di pagamento e di valuta sono fuorvianti o incompleti.
Ma gli stessi creatori di criptovalute si sono posti il problema di rendere più efficiente la tecnologia blockchain. Il consorzio Ethereum sta pianificando il passaggio dalla proof of work a un sistema ibrido che si avvale anche della “proof of stake”, un sistema di validazione assai meno oneroso computazionalmente. Questo approccio ibrido dovrebbe anche aumentare la sicurezza e ridurre il rischio di centralizzazione.