Originariamente pubblicato su Medium
Così recita lo slogan dell’ambiente di sviluppo per bot di Kik, un servizio di messaggistica particolarmente usato dai teenagers.
Tanto entusiasmo per i chatbot può essere spiegato iniziando a definirli.
Un chatbot è un software progettato per simulare una conversazione con gli esseri umani tramite chat; si avvale di una branca dell’Intelligenza Artificiale denominata natural language processing che, a sua volta, si inserisce nel più ampio campo del machine learning ( è uscito da poco un ottimo libro su questo argomento, “L’Algoritmo definitivo” di Pedro Domingos, Bollati Boringhieri).
Google, Microsoft, IBM, molte famose università come Standford si dedicano da anni a questa disciplina, consapevoli che l’interazione uomo-macchina sta evolvendo rapidamente; grazie alle reti mobili, al GPS, ai dispositivi “wearable” e all’IoT si sta condensando una nuvola di dati di input che ci segue costantemente che viene analizzata e trasformata in notifiche, consigli, suggerimenti e altro dai nostri smartphone. Gli assistenti virtuali “espliciti” e parlanti come Siri o quelli integrati nelle app ci consentono di filtrare questi dati, trasformandoli in informazioni che noi possiamo a nostra volta utilizzare per compiere operazioni e interagire con l’ambiente reale e virtuale tramite i nostri smartphone o tablet.
Due considerazioni stanno spingendo verso la soluzione chatbot le grandi aziende tecnologiche, i fornitori di beni e servizi online come Amazon o Uber e chiunque operi nel mondo digitale direttamente o indirettamente:
- l’eccessiva proliferazione di app, che costringe gli utenti a installarne sempre di nuove (memorie dei dispositivi permettendo)
- l’utilizzo massiccio da parte degli utenti di sistemi di messaggistica (Whatsapp, Facebook Messenger, Snapchat, Instagram solo per citarne alcuni)
- la rapida crescita dei servizi legati alla sharing economy o, meglio, alla on demand economy
L’idea è che ci si possa (ci si debba) inserire nel flusso delle conversazioni degli utenti attivando quel che viene definita “conversational economy”.
Alcuni esempi lasciano intravedere le potenzialità di questa strategia.
Uber permette già di prenotare un’auto direttamente da Messenger mentre la compagnia aerea KLM utilizza sempre Messenger come tool per il servizio clienti. Non è un caso che proprio Facebook abbia lanciato ad aprile la Messenger Platform, che mette a disposizione strumenti e API per la realizzazione di bot; ai primi di luglio erano già 11.000 i chatbot realizzati da 23.000 sviluppatori. Facebook ha aperto un blog per raccontare queste sperimentazioni e per fornire suggerimenti e linee guida.
Siamo solo all’inizio e la maggior parte dei bot sono lenti, banali e relativamente “stupidi” tanto che su Verge vengono descritti come “il modo più lento di usare internet”. Ma ogni tecnologia (o subtecnologia) ha bisogno di tempo per raggiungere un livello accettabile di funzionalità, come insegna per esempio la storia di Internet (i meno giovani si ricorderanno l’incubo di connessioni lente e difficili da settare). Pensiamo però che vi sono 900 milioni di utenti che usano regolarmente Messenger ogni mese e 15 milioni di pagine Facebook legati ad aziende e brand pronte a “chattare” con loro per individuare i loro gusti, suggerire acquisti, fornire indicazioni con l’(apparente) informalità e convivialità di una chiacchierata con un amico.
Per quanto in questo momento Facebook monopolizzi l’attenzione sul mondo dei bot, altre big companies sia di messagistica sia di settori specifici come quello turistico si stanno muovendo in questa direzione; Telegram ha numerosi bot che spaziano da quelli dedicati alla ricerca di musei nelle vicinanze a quelli che aiutano a fare la lista della spesa o a tener traccia dei prezzi dei prodotti in vendita su Amazon; Booking.com ha lanciato un chatbot che permette agli utenti di comunicare in modo più semplice con gli hotel prima e dopo il loro soggiorno.
Strettamente collegato con il mondo “bot” è la ricerca e sperimentazione nel campo degli assistenti vocali. In questo caso la conversazione con l’utente è intesa in senso stretto e anche qui implicazioni e possibilità sono enormi: basti pensare al mercato automobilistico, dove l’interazione vocale con i dispositivi connessi (e con i bot che li popoleranno) è di primaria importanza per le questioni legate alla sicurezza.
E’ probabile che il test di Turing venga in un prossimo futuro superato milioni di volte chattando o chiaccherando con bot sofisticati addestrati a esaudire (o predirre, o creare) ogni nostro desiderio. O almeno quelli che possono essere acquistati.