Blockchain

Contro la pirateria audiovisiva, un coniglio bianco che mastica blockchain

La pirateria audiovisiva sembra in ripresa. Secondo il rapporto Global Internet Phenomena di Sandvine l’utilizzo di BitTorrent – strumento storicamente utilizzato per scaricare illegalmente film e serie tv – è in aumento.

Una delle cause potrebbe derivare, paradossalmente, dal moltiplicarsi delle piattaforme di streaming che costringono l’utente ad accedere a più siti e/o a sottoscrivere più abbonamenti, rendendo il processo più complicato e costoso.

La perdita di ricavi dovuta alla pirateria secondo uno studio recente si aggirerebbe intorno ai 50 miliardi di dollari tra il 2016 e il 2022.

Una startup norvegese, White Rabbit, sta sviluppando un approccio legato alla blockchain che potrebbe, almeno in parte, ridurre questo attrito nell’esperienza utente, restituendo pubblico e ricavi alle piattaforme “legali” e ai produttori di contenuti. White Rabbit si rivolge in particolare a quegli utenti che chiama “ribelli responsabili”, ai pirati per necessità (economica, territoriale, funzionale) e non per indole.

L’idea parte da un semplice plugin da aggiungere al proprio browser. Il plugin riconosce il contenuto video che si sta vedendo e, con il consenso dell’utente, senza bisogno di iscriversi o fare login, effettua il pagamento distribuendolo in tempo reale tra i possessori dei diritti del film o della serie e la piattaforma ospitante.

Questo è possibile grazie alla tecnologia blockchain e agli smart contract. White Rabbit ha creato una sua criptovaluta, un token (WRT) basato sulla rete Ethereum.

Il flusso del processo è questo, come descritto nel white paper:

– gli utenti acquistano WRT durante la vendita iniziale dei token o tramite uno dei siti di compravendita di monete digitali

– l’utente accede al contenuto da un sito p2p o open server partner di White Rabbit; il plugin permette di corrispondere una cifra, tramite token, al possessore dei diritti per l’accesso al contenuto. L’utente a questo punto, tramite la piattaforma Rabbit Hole, ha disposizione anche altro materiale (versione in qualità video superiore, contenuti extra), la possibilità di interagire con i filmmakers e altri servizi di terze parti.

– i token inviati dall’utente sono distribuiti tramite smart contract: il 75% al detentore dei diritti, il 15% a White Rabbit e il 10% al sito di streaming

– se il detentore dei diritti di un opera non ha ancora un accordo con White Rabbit l’utente può offrire comunque dei token per la visione; il detentore dei diritti riceverà dei token bonus a patto che entro un determinato periodo di tempo accetti di rilasciare il contenuto secondo le condizioni standard. In caso contrario l’utente verrà avvertito che per l’opera in visione non possono essere accettati token (e White Rabbit chiedera al sito partner di eliminare il contenuto dalla piattaforma)

– il detentore dei diritti, per esempio il produttore, può decidere di redistribuire automaticamente i ricavi ad altre parti interessate. L’utente può inviare token direttamente al regista, agli attori, agli sceneggiatori o ad altri artisti e tecnici coinvolti nella realizzazione di una particolare opera.

Un punto che dovrebbe rassicurare distributori ed esercenti, italiani in particolare, è che la distribuzione digitale potrà essere opportunamente ritardata rispetto all’uscita nelle sale.

Come in altre proposte legate alla tecnologia blockchain, viene dato risalto alla possibilità, da parte dei detentori dei diritti, di avere report dettagliati riguardanti la fruizione dei contenuti: dati preziosi ma di solito di proprietà delle OTT tipo Netflix e HBO. Gli utenti che autorizzeranno l’utilizzo dei propri dati saranno “ricompensati” con un bonus in token.

La strategia di business di White Rabbit si discosta da quella di altre startup come SingularDTV o MovieCoin. Non propone una piattaforma di streaming propria inserita in ecosistemi più o meno complessi di servizi, applicazioni e strumenti criptofinanziari ma una soluzione relativamente semplice per rendere più trasparente, diretta ed efficiente la revenue sharing e disincentivare la pirateria.

Ci sono però, come sempre in queste sperimentazioni, punti critici. Il più importante è comune a tutti i progetti che poggiano su token e criptovalute: l’utente medio non ha ancora dimestichezza con queste monete digitali e gli strumenti che dovrebbe usare per la compravendita non sono sufficientemente “amichevoli”.

Il team che lavora al progetto è composto da figure provenienti dal mondo dell’audiovisivo, come il produttore Alan R. Milligan e dal mondo IT e delle blockchain. Si stanno prodigando in uno sforzo promozionale rilasciando interviste, girando il mondo e partecipando a festival, manifestazioni come il MIA di Roma, workshop ed eventi. Sfortunatamente la loro ICO, promossa in Lussemburgo (paese con una legislazione favorevole alle criptovalute) e destinata a vendere la prima tranche di token, è stata rinviata per problemi di autorizzazioni tardive.

Originariamente pubblicato su Medium.