Va bene, ho letto “The Game” di Baricco. Sfortunatamente mi è piaciuto (il personaggio Baricco non mi è particolarmente simpatico ma scrive benissimo). La sua educazione sentimentale al digitale mi ha fatto ripercorrere la mia: le mie prime cotte (Pong, Commodore 64, consolle Atari), il primo amore PC IBM (o era un clone?), la programmazione (Basic, Pascal, C), Internet, il web, il cellulare, i web 2.0, i social, le app. La sua affabulazione fluisce in superficie, creando e raccontando le isole della trasformazione digitale. Le sue analisi possono essere “omeopatiche” (cit. Boccia Artieri) ma sostanzialmente mi trovano d’accordo.
La lettura del libro mi ha fatto venire voglia di riprendere un paio di quadernetti d’appunti — scritti tra il 2006 e il 2009 — su una selezione di testi legati ai temi della rete, dell’innovazione, dei nascenti social media.
Con un’operazione non tanto nostalgica o classificatoria (chi ci ha preso, chi ha sbagliato previsioni) ma spero “situazionista” riporto, in maniera del tutto arbitraria e parziale, alcuni dei brani che avevo riscritto, sottolineato, evidenziato. Non sono sempre citazioni fedeli, non seguo un percorso particolare. È un’estrapolazione pseudocasuale o, comunque, non studiata.
Tra parentesi qualche mio commento, riflessione, domanda, un decennio dopo o giù di lì.
Mi piacerebbe che il lettore che si trova a passare di qui lasciasse anche il suo pensiero su qualcuno di questi vecchi appunti (o sulla mia reprise).
Jan Klobas — Oltre Wikipedia (2007)
Il social software come strumento per facilitare, l’interazione sociale, la collaborazione e lo scambio di informazioni. (Ok, ma quali informazioni? La propria rappresentazione della realtà?)
La conoscenza tramite l’interazione sociale. (Ma ci si scambia conoscenza o informazioni?)
Etica delle informazioni, capacità di leggere criticamente le informazioni. (Praticamente tutti gli autori che avevo letto insistevano su questo punto. Cosa è andato storto?)
Giuseppe Granieri — Società digitale (2007)
Pubblichiamo tutto, poi si filtra. (Abbiamo perso il filtro!)
Insieme di cluster costituiti da identità affini. Palestra di idee. (Di pre-giudizi?)
Crisi dei mediatori giornalisti, editori, scrittori, critici. (Politici, scienziati)
La qualità, l’autorevolezza diventano un percorso personale da intraprendere esercitando lo spirito critico. (Quali sono le motivazioni che avrebbero dovuto (dovrebbero) spingere verso tale percorso)?
Lo scambio di informazioni tra utenti, tra consumatori ha costretto i produttori ad “aprirsi”, a mostrare più trasparenza. (Ecco, qui direi che ci siamo. Una delle conquiste maggiori favorite da web 2.0 e social è quella dei prosumers oppure, se si vuole, dei consumatori consapevoli e attivi.)
Sergio Maistrello — La parte abitata della Rete (2007)
Internet è un altrove, un ovunque. (Un ovunque non più altrove.)
Un nodo, una persona. Dai contenuti alla conversazione. Il nodo come filtro. Convergenza dei servizi verso il nodo/persona. (La persona come hub di rete. L’hub però può anche esser visto come ripetitor.)
Pubblicazione, conversazione. (Pubblicazione on, ma conversazione? Forse privata, tramite IM, meno pubblica)
Da troppi a troppi. (In effetti…)
L’informazione generata, filtrata, amplificata da ogni nodo/persona. (Sempre il pezzo mancante, il filtro)
L’economia dell’abbondanza riscopre le nicchie, le coccola, le valorizza e le monetizza. (La coda lunga. Viene sfruttata realmente oggi? Probabilmente sì ma bisognerebbe ragionarci.)
Howard Rheingold — Smart Mobs (2003)
La persona, non il luogo, la casa o i colleghi diventeranno sempre più nodo di comunicazione autonomo. (Come sopra, nodo / persona grazie a smartphone, tablet, wearable devices.)
Web of trust, filtro collaborativo (Untrusted web?)
La punizione, anche del tipo “esilio sociale” di chi si comporta scorrettamente è un forte deterrente a questi comportamenti. (Ma se una comunità decide che scorretto è corretto?)
La reputazione rappresenta il punto dove tecnologia e collaborazione (sociale) convergono. (Su cosa si basa oggi la reputazione online?)
Gianfranco Bettetini — L’Ulisse semiotico e sirene digitali (2006)
Bettetini cita Vattimo e “l’erosione del principio di realtà” e “molteplicità delle rappresentazioni”. (Estremamente attuale)
Rappresentazione nei nuovi media: simulazione. -> simulare: imitare, riprodurre / fingere, falsare (Fake!)
Manovich: l’interattività implica da una parte una responsabilità morale dell’utente dall’altra una deresponsabilizzazione dell’”autore”. (Postando e ripostando ci siamo deresponsabilizzati?)
Ippolita — Luci e ombre di Google (2007)
Si può accedere ai dati, reperire informazioni ma per creare conoscenza è necessario un lavoro intellettuale di analisi e sintesi. (Di nuovo. Lavoro, per giunta intellettuale. Chiedere troppo?)
Yochai Benkler — La ricchezza della Rete (2007)
Eterogeneità delle forme di produzione (di informazioni) e l’ampliamento dell’ “ambiente informazionale” incoraggia la libertà individuale, un sistema politico più partecipativo, una cultura critica e la giustizia sociale. (La prima sì, sul resto, al momento, ci sono dei dubbi.)
Dalla sfera pubblica a un insieme di sfere pubbliche -> schiuma. (Micro-sfere pubbliche tendenti al singolo individuo?)
Un utente attivo valorizza cose diverse da quelle gradite a un consumatore passivo. (Con gli influencer si ritorna alla passività?)
Federico Casalegno — La Cybersocialità (2007)
Il cyberspazio non costruisce simultaneità in un tempo esterno, ma una convergenza di situazioni asincrone e aggiustamenti di ritmi particolari. (Ho come l’impressione — ma è solo un’impressione — che sia diminuita l’asincronicità in favore di una immediatezza (anche differita). O, meglio, si sia rattrappita.)
La questione che si pone oggi è il tragitto. Sembra, cioè, che tra il soggettivo e l’oggettivo non resti spazio per il tragitto. -> “Perdita della narrazione del tragitto e dunque della possibilità di una qualsiasi interpretazione perdita di memoria progresso di una paradossale memoria immediata, legata all’onnipotenza dell’immagine. L’inquinamento della durata e del tempo, inquinamento dromosferico.” Paul Virilio (I flussi dei social sono i killer della memoria?)
Linee di cybersocialità. Le reti contribuiscono a cristallizzare le “socialità calde”. (Anche troppo calde.)
Network effect. Quando la rete diventa pop. — A cura di Lella Mazzoli (2009)
Giovanni Boccia Artieri – Supernetwork: quando le vite sono connesse
I “fili invisibili” che legano le persone nella vita quotidiana, gli elementi costitutivi della “struttura molecolare della società”, in questa loro mediazione tecnologica diventano oggi visibili e percepibili. (Sempre più.)
Nell’intimità digitale si possono vivere forti condivisioni emotive senza che sia un preludio alla capacità di dare vita a relazioni profonde. È uno stato di sperimentazione della relazione. (La relazione basata sulla reazione (emotiva-> successo e moltiplicazione emoticons non a caso))
Contesto tra pratiche di intimità e pratiche di esibizione. (L’intimità è diventata esibizione?)
Gli individui attraverso le pratiche di fruizione dei media (social media) hanno imparato a utilizzare il “codice” del sistema dei media, cioè un criterio di selezione per distinguere ciò che è notiziabile da ciò che non lo è […] ciò che informativo da ciò che non lo è. (Forse hanno imparato i “trucchi biechi” del mestiere dell’informazione, non a trasmettere ciò che è informativo. Si trasmettono emozioni più che informazioni)
Laura Gemini — Stati di creatività diffusa: i social network e la deriva evolutiva della comunicazione artistica.
Messa a punto di una nuova semantica della creatività artistica, ossia di nuovi modi di concepire, definire e pensare l’arte, che si esprime e attualizza nei termini di creatività diffusa, produzione dal basso, condivisione di conoscenze e di idee, logica collaborativa. (Mi sembra che non esista, a distanza di dieci anni una nuova creatività mediata dalla rete; si ha produzione dal basso (crowdfunding per esempio), fruizione transmediale ma la creatività pop (popolare) rimane piuttosto ancorata al mainstream (vedi serie tv, vedi fallimento del salto (cercato) dalla rete ai classici media come cinema, televisione.)
Presa di coscienza dell’esistenza di luoghi sperimentazione che richiedono altre competenze comunicative e permettono di giocare su altri fronti l’abilità creativa (Si sta ancora sperimentando. Quando si entra “in produzione”?)
Enrico Grazzini — L’economia della conoscenza oltre il capitalismo (2008)
È probabile che la rete, dando voce per la prima volta a milioni di persone e a migliaia di comunità, svilupperà una molteplicità di culture aperte al confronto e disponibili ad arricchirsi grazie agli scambi reciproci. (Uhm…La prevalenza delle “echo chambers” ovvero la chiusura dell’apertura.)
Henry Jenkins — Cultura Convergente (2007)
Dall’introduzione di Wu Ming
Così la diffusione libera e trasversale di contenuti diventa di per sé un fenomeno da contenere, ridurre, gestire. Salvo poi lamentarsi, alla prima occasione, del consumo passivo di certi adolescenti. (Il fenomeno non è stato contenuto, ridotto, gestito. Gli adolescenti “consumano” attivamente e, in parte, producono contenuti. Ecco secondo me questa parte è ancora troppo piccola. E continuo a pensare, come 6/8 anni fa, che le ragazze/i adottino in larga misura un consumo attivo ma un approccio passivo alle tecnologie, al flusso, alla rete. Non colgono il potenziale. Alcune volte mi sembra che si accontentino. Visti da lontano come li vedo io, naturalmente. Però l’analfabetismo digitale dei nativi non lo vedo solo io.)
La convergenza […] implica cambiamenti nei modi di produzione e di consumo dei media. (Forse più la seconda.)
Immaginiamo un modello (di intrattenimento) basato sull’abbonamento, per il quale gli spettatori si impegnino a pagare un contributo mensile per la visione stagionale di una serie che entra nelle loro case in banda larga. (Fatto, non per una serie ma per tutto. Ed entra nel “nodo” personale, non solo in casa.)
Massimo Russo, Vittorio Zambardino — Eretici Digitali (2009)
Poiché nell’economia dell’abbondanza dell’informazione la risorsa più scarsa è proprio l’attenzione, e ragionare ne richiede di più che agire d’impulso, il sovraccarico d’informazione gioca a favore di chi inquina il sistema e ripete ossessivamente ai cittadini il suo impulso ad agire. Si tratti dell’acquisto di pannolini o della scelta elettorale, drammatizzazione, ansia, urgenza, stimolo parossistico non contribuiscono mai a decisioni ponderate dei cittadini. (Beh…)
Il giornalismo online tende mostra una tendenza a privilegiare la riscrittura e la ripubblicazione di contenuti esistenti a scapito del lavoro di cronaca. (Forse in questo caso la situazione è migliorata.)