Nel marzo scorso il Pew Research Center Internet Project, in occasione del 25imo anniversario del World Wide Web ha pubblicato “Digital Life in 2025” il primo di una serie di report sul futuro prossimo di Internet e delle nuove tecnologie. Interviste a migliaia di esperti e addetti ai lavori hanno permesso di delineare quel che ci aspetta nel 2025.
In breve il quadro che emerge è quello di un’Internet globale e pervasiva, invisibile “come l’elettricità”. Il paragone è significativo. All’inizio del ‘900, come racconta Paul Boag in “Digital Adaptation”, esisteva nella grandi aziende la figura del CEO dove la “E” stava per “Electricity“. L’elettricità era ancora qualcosa di nuovo, da gestire separatamente come adesso la parte digitale e web.
Gli esperti pensano invece che tra poco più di dieci anni gli “elettroni dell’informazione” fluiranno nella vita di tutti i giorni in modo trasparente, collegando tra loro persone e oggetti, generando immense quantità di dati auto-gestiti per lo più dagli stessi dispositivi, creando una “realtà aumentata” nella quale saremo immersi. Questo, come già si sta osservando, produrrà il crollo dei modelli socio-economici ereditati dai due secoli precedenti, generando nuove opportunità, nuovi problemi e nuove sfide.
Ieri il Pew ha pubblicato il secondo report, dedicato questa volta in particolare all‘Internet of Things (anche Tim O’Reilly ne ha parlato un mesetto fa).
Quasi tutti gli interpellati – che, ricordiamo, non sono un campione “neutro” – ha sostenuto che vi sarà una grande crescita di questo fenomeno e del mercato dei dispositivi ad esso collegati e ciò produrrà, in genere, effetti positivi sulla società e nella vita di tutti i giorni.
Ecco alcune tematiche emerse dalla ricerca.
La proliferazione e la miniaturizzazione di sensori e attuatori continuerà, rendendo ogni cosa nell’ambiente un nodo della Rete. Il flusso costante di informazioni consentirà di adottare modelli di pianificazione e decisionali real-time, non solo in settori come quello della logistica ma anche in quelli della vita quotidiana per esempio avvertendoci via smartphone che il latte conservato nel frigorifero sta finendo propio mentre camminiamo vicino (o dentro) al supermarket. E a proposito di gestione in tempo reale, proprio ieri ho letto questo articolo in cui ci si chiede perché, nell’industria aerea – già praticamente attrezzata per farlo – e in altri settori non si effettui un effettivo real-time monitoring delle strutture e degli impianti con evidenti benefici sia in termini economici che di sicurezza.
Tornando al report, si è evidenziato come la proliferazione di sensori indossabili e anche impiantabili nel corpo umano genererà un ulteriore miglioramento della nostra salute, avvertendoci di possibili problemi fisici prima che compaiono sintomi avvertibili. Come contraltare, e questo in generale si riferisce all’evoluzione del concetto di privacy, lo stretto controllo sul nostro corpo e sulle nostre abitudini potrebbe essere condiviso con grandi e piccole società private (oltre che con lo Stato) permettendo, per fare un esempio, a una compagnia di assicurazione di aumentarci all’istante il premio per la polizza vita se le nostre scarpe da ginnastica rilevano che abbiamo saltato una seduta in palestra. Il livello e la qualità della profilazione e del “targeting” da parte delle industrie aumenteranno a dismisura.
Le città (“smart cities“), attraverso una rete di sensori che comprenderà gli stessi abitanti e i loro dispositivi mobili, diventeranno un meta-organismo ibrido in grado di gestirsi e organizzarsi conformandosi (o modificando) le abitudini dei cittadini.
Le interfacce uomo-macchina combineranno gesture, speech e brain recognition fornendo un’avanzata capacità di interazione con i dispositivi, cosa che risulterà ancor più importante visto che l’età media continuerà ad aumentare e il sostegno alle persone anziane sarà uno dei problemi principali della società dei prossimi decenni.
Altri problemi derivano dalla gestione della complessità che un tale mondo ultra-connesso comporterà: come detto molto del lavoro di raccolta, interpretazione, analisi dei dati -anzi dei big data – sarà delegato agli stessi dispositivi, collegati in cloud, con i processori delle informazioni. Di conseguenza sempre più, come nelle auto, potrebbero essere le macchine stesse a prendere quasi tutte le decisioni, sia che si tratti di scegliere e seguire un percorso che di riorganizzare quotidianamente l’attività di una fabbrica.
In realtà si andrà “condensando” una “Cloud of Things” che permetterà ai dispositivi di generare i propri “social networks” che – per il momento… – interagiranno con le reti sociali umane.
Il digital divide probabilmente aumenterà e con esso anche il rifiuto di queste tecnologie pervasive da parte di gruppi di individui spinti da motivazioni etiche, religiose, politiche.
Una nota conclusiva. Ho notato che molte volte nelle parole degli intervistati sono saltati fuori i Google Glass (e le probabili future lenti a contatto Google…) indicati come prototipi/archetipi della prossima generazione di oggetti dell’Internet of Things.
E come sarà il vostro rapporto con dispositivi sempre più “embeddati” nella vostra vita quotidiana (e nel vostro corpo)?