Originariamente pubblicato su Medium
Il crowdfunding è uno strumento finanziario relativamente nuovo ma che già è conosciuto e usato da un gran numero di persone in Italia e nel mondo; utilizzando le filosofie di partecipazione e condivisione tipiche di internet prima e del web e dei social dopo permette di tentare il finanziamento “dal basso” per progetti, startup e iniziative di ogni tipo. Mediato da piattaforme “generaliste” o settoriali, nazionali o internazionali, il crowdfunding nelle sue diverse declinazioni sta aumentando di anno in anno il suo giro d’affari e sta entrando nel lessico comune.
Ma è già tempo di evoluzioni e possibili rivoluzioni in questo pur giovane settore, grazie all’architettura blockchain e alle monete digitali (o criptovalute).
Blockchain e valute digitali
Il termine “blockchain” è, probabilmente, sconosciuto ai più; cerchiamo di spiegare brevemente di cosa si tratta e come il suo utilizzo stia cominciando a cambiare il crowdfunding.
L’architettura “blockchain” è l’insieme delle tecnologie che supporta la moneta criptata Bitcoin e altre valute simili e più in generale:
“…è alla base di meccanismi di ‘trust’ che potrebbero abilitare nuove forme di scambio (di valuta, di beni, di informazioni, di contratti, ecc.) dove la fiducia non è più riposta in una entità centrale ma distribuita tra tutti i partecipanti dello ‘scambio’.” *
Detto in altre parole la blockchain permette di effettuare transazioni sicure e verificate affidandosi non a un ente centrale come una banca ma a una vasta rete di nodi (computer) ciascuno dei quali mantiene una sorta di libro contabile di tutte le transazioni.
“Con un’architettura blockchain è possibile registrare in modo indelebile, non modificabile, sicuro e distribuito qualunque tipo di dato digitale, da una valuta come Bitcoin, ad un contratto, un attestato di proprietà, dati medici, eccetera.”**
I Bitcoin sono una valuta virtuale che può essere usata per pagamenti online ma che può anche essere trasformate in valuta reale; nell’immagine in basso, tratta dal Financial Times, uno schema semplificato del processo alla base degli scambi.
Sono molti i settori che stanno già sperimentando l’utilizzo dell’architettura blockchain; curiosamente sono proprio le banche, in teoria le “nemiche” numero uno del mondo delle criptovalute, quelle che per prime ne hanno intuito le potenzialità: un consorzio costituito dalla più grandi banche mondiali sta studiando e sperimentando l’utilizzo delle blockchain, così come la Banca Mondiale e diverse Borse tra cui il Nasdaq.
Altri settori molto interessati sono quelli finanziari in genere, quello dei media, delle assicurazioni, della pubblica amministrazione, della sanità, delle attività notarili e legali, delle vendite al dettaglio e altri ancora.
Il “cryptocrowdfunding”
È possibile individuare diversi livelli nell’utilizzo dell’architettura blockchain in questo ambito.
– Un modello prevede di erogare “token” (gettoni, monete) ai donatori proporzionalmente alla somma elargita; questi token potranno poi essere usati in vari modi, per l’accesso a edizioni speciali, eventi o altro e avendo la possibilità di scambiarli con altri utenti: in pratica una versione più flessibile dei reward.
– Un altro approccio è quello di utilizzare monete digitali già esistenti come i Bitcoin per farsi finanziare il progetto, specie se legato a queste tecnologie; il vantaggio è che i donatori sono spesso sostenitori delle criptovalute e diventano automaticamente degli “investitori” che vogliono allargare il settore sperando che i loro gruzzoli virtuali aumentino sempre più di valore.
– Ancora più interessante è il caso delle app o di servizi online; possono essere create delle App Coin dedicate, “monete” (fornite ai donatori) che potranno essere da loro utilizzate all’interno dell’app o di un ecosistema di app e servizi.
– Per finanziarsi, gli ideatori di un progetto tecnologico possono- come nel punto precedente – creare una propria criptovaluta in una certa quantità; tengono una parte per sé ed il resto la danno in cambio delle donazioni degli utenti: questi diventano automaticamente investitori, scommettendo sul successo del progetto e conseguente aumento del valore delle loro monete digitali. A questo punto i progettisti hanno ottenuto un primo finanziamento e, con le monete accantonate, potranno finanziare futuri sviluppi del progetto.
Con tutta una serie di possibili variazioni questo nuovo modello decentralizzato e disintermediato di business prende il nome di ICO (Initial Coin Offering).
Waves, piattaforma di scambio nata per facilitare la creazione di progetti open source e il loro finanziamento in crowdfunding tramite monete virtuali (si propone come alternativa decentralizzata a piattaforme come Kickstarter) ha raccolto 30.000 Bitcoin (circa 20 milioni di euro alla data odierna); i donatori hanno ricevuto dei token (i “Waves”) ad un prezzo prefissato scommettendo sulla bontà del progetto e sul fatto che i Waves aumenti di valore nel tempo.
Un altro esempio è quello di ICONOMI, piattaforma per la gestione di fondi “aperta” tramite criptovalute e blockchains, che ha raccolto con la sua ICO più di 10 milioni di dollari nei mesi scorsi.
Questo modello va ad impattare soprattutto nell’equity crowdfunding in due modi differenti, secondo la strategia scelta: se i token sono assimilati a corporate bond o comunque “azioni” della società, si rientra nelle normative correnti dell’equity crowdfunding; ma se i token non rappresentano un contratto legale ma sono solo dei mezzi per monitorare il successo della società (inglobando eventuali profitti della stessa) si entra in una zona grigia non ancora studiata e regolamentata.
Riguardo una strategia del primo tipo una delle sperimentazioni più interessanti su questo fronte riguarda — ancora — una banca, BNP Paribas Securities Services che in collaborazione con la piattaforma di crowdfunding per startups SmartAngels creerà un libro mastro distribuito delle transazioni tramite blockchain; questa architettura permetterà agli investitori di operare in sicurezza e di avere rilasciati in tempo reale dei certificati digitali che attestano l’investimento; inoltre si attiverà un mercato secondario per questi titoli.
Vi sono diversi vantaggi nel “cryptocrowdfunding” tra i quali:
– aumento del grado di fiducia tra chi crea la campagna e i donatori, essendo tutte le operazioni effettuate in tempo reale, senza intermediazioni e in maniera trasparente
– riduzione quasi a zero delle ritenute sulle donazioni che attualmente sistemi di pagamento come Paypal applicano e delle stesse fees delle piattaforme di crowdfunding
– i reward trasformati in token diventano negoziabili in un mercato secondario, diventando “titoli” che potranno essere scambiati e/o trasformati in valuta reale o servizi
– trasparenza e sicurezza di regole e contabilità; il “registro distribuito” delle transazioni in una blockchain è pubblico e non manipolabile, offrendo forti garanzie e permettendo, per esempio, che le donazioni vengano rese operative solo quando il progetto raggiunge determinati risultati (milestones).
Così come Internet e il web hanno consentito la nascita del crowdfunding, così uno sviluppo ulteriore delle tecnologie lo sta facendo evolvere verso quello che già molti definiscono “crowdfunding 3.0” e che può rappresentare una nuova fase, tutta da esplorare, del finanziamento partecipativo.
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